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“Io sono ciò che sono in virtù di ciò che tutti siamo”

“Umuntu ngumuntu ngabantu” (“io sono ciò che sono in virtù di ciò che tutti siamo”) è una delle espressioni proprie della filosofia Ubuntu, appartenente all’Africa sub-sahariana. Come si può intuire, in quest’espressione sono racchiusi i concetti di compassione, interrelazione, rispetto reciproco e comunione, più che mai attuali in questi giorni di isolamento ma di profonda interdipendenza come anche solo la propagazione del virus ci dimostra.

Allo stesso modo, Marlo Morgan, autrice di Il cielo, la terra e quel che sta nel mezzo (1998), riporta alla luce l’antica saggezza aborigeno-australiana con le seguenti parole: “[…] ci troviamo qui gli uni per gli altri, per soccorrere, nutrire, divertire, interagire con tutto il resto. Siamo qui per avere cura di questo pianeta […]”. Ciò che Marlo Morgan aggiunge rispetto alla filosofia Ubuntu è l’interconnessione tra uomo e natura, importante al pari di quella tra esseri umani.

Sono entrambi messaggi molto forti che dovrebbero farci rivalutare la percezione che abbiamo sulla separazione tra noi e ciò che è fuori di noi; questa sensazione, infatti, ci porta a dare valore all’ IO, piuttosto che al NOI. Attenzione, capovolgere la prospettiva non significa annullare il singolo per un desiderio di collettività, ma valorizzare la collettività a partire da ciò che ognuno è e può essere per l'altro (che sia un essere

Foto di Henning Westerkamp da Pixabay umano o un essere vivente), al fine di procurare un benessere che valichi i confini e sia universale. Pertanto, per fare ciò, è necessario annullare la visione antropocentrica e indirizzarsi verso quella biocentrica, dove la vita stessa è al centro e dove ogni singolo elemento vitale (di cui l’uomo è solo una parte) coopera insieme agli altri per il bene comune.

Un elemento vitale che non è umano a cui potremmo ispirarci per andare nella giusta direzione è l’albero. Peter Wohlleben, silvicoltore e autore tedesco che scrive su temi ecologici, racconta che gli alberi si prendono cura l’uno dell’altro, per esempio facendo crescere i propri rami più grossi a una distanza tale per cui anche gli alberi vicini possano fare stessa cosa; oppure, si impegnano per mantenere in vita i ceppi degli esemplari defunti grazie a soluzioni zuccherine che inviano tramite le radici. Insomma, gli alberi sperimentano l'amicizia e il modo in cui lo fanno può fungere da esempio per noi.

Passando al momento attuale che stiamo vivendo, credo che questo tempo sospeso ci dia l’opportunità di riflettere su questi temi, proprio adesso che, paradossalmente, siamo separati l’uno dall’altro ma uniti da una questione comune, quella del virus, che, come afferma lo scrittore Daniel Lumera, non prevede lo STARE con gli altri, ma l’ESSERE con gli altri, in una connessione più sottile ma potente.

Mi piace associare questo momento ad un’immagine che Vittorio Marchi, insegnante di Fisica e ricercatore, descrisse nel film Pachamama (2016) di Thomas Torelli. Egli considerò il passaggio dell’umanità dalla separazione all’unità sotto forma di un parto; questo, di per sé, prevede le doglie, prevede del dolore, ma l’evento che preannuncia è lieto, non catastrofico.

Sullo stesso piano si trovano le riflessioni fatte in questo periodo da Alessandra Comneno (ricercatrice e praticante di sciamanesimo, pellegrina del tempo nel cammino Maya-Tolteca, astrologa, floriterapeuta e Maestra di Reiki) che associa gli esseri umani a dei semi che per germogliare e vedere la luce hanno bisogno di partire dall’oscurità e lasciarsi alle spalle ciò che è morto, ciò che non serve più, ciò che portavano avanti per abitudine. Insomma, come dice Ruth E. Renkel, “Non abbiate mai paura dell’ombra... E’ li a significare che vicino, da qualche parte, c’è la luce che illumina”.

Pertanto auguro a tutti che questo tempo sia proficuo e vissuto nella sua interezza, senza che si riduca ad un’attesa di qualcosa che sarà. Ragionando sempre in termini di pensiero biocentrico, vi auguro di amare voi stessi, gli altri e tutto ciò che vi circonda più di prima perché il contrario di morte, oltre che essere VITA, è prima di tutto AMORE (dal latino, “assenza di morte”). Non importa cosa fanno gli altri, iniziate da voi perché, come diceva Nietzsche, “quelli che ballavano erano visti come pazzi da quelli che non sentivano la musica”.


Valeria Pilli

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